Turismo sostenibile e coinvolgimento della fauna

Qualcuno di voi si starà chiedendo come mai un viaggiatore abbia il diritto di parlare di sostenibilità tra climatologi ed esperti di settore.

Parto da qualche annetto addietro. Da ragazzo, ricordo alla TV una pubblicità in cui diceva che ogni anno veniva bruciata una porzione di Amazonia grande quanto la Svizzera. E ricordo che subito dopo mandavano in onda lo spot di un deodorante che bastava mettere sotto le ascelle perché tutte le ragazze cadessero ai tuoi piedi.  Siccome con me il deodorante all’epoca non aveva funzionato, pensavo che anche la storia del l’Amazzonia fosse una bufala. Ritornando all’ Amazzonia in anni più recenti, si è iniziato a parlare di porzioni grandi come l’ Umbria… e non capivo se fosse perché le cose erano migliorate o perché avevano preso meglio le misure. Ma a me comunque continuava a sembrare un’esagerazione. Poi, però, sono andato in Amazzonia!

Seguendo la rotta sugli schermi dell’aereo ad un certo punto ho iniziato a guardare fuori dal finestrino perché volevo vedere il delta del Rio delle Amazzoni dall’alto. Quando ho iniziato ad avvistarlo ho provato due emozioni fortissime:

  • La prima, ovvia, per la maestosità del fiume…
  • La seconda, più scioccante, quando mi sono reso conto che con un aereo che viaggiava a quasi mille chilometri orari mancavano circa tre ore all’arrivo a Manaus che si trova neanche a metà della foresta amazzonica! Per tutto questo tempo (pari alla rotta da Milano a Kiev – praticamente tutta l’Europa) noi avremmo sorvolato solo foresta, e non ne avremmo percorso neanche mezza!

Quindi mi sono reso conto, purtroppo, che lo spot  sulla deforestazione dull’Amazzonia poteva non essere proprio una bufala.

Vista aerea dell’Amazzonia e dell’Italia.

Porzione di foresta “grande come l’Umbria” disboscata ogni anno.

Ogni anno sparisce una porzione di Amazzonia grande come l’umbria! 

E quindi l’enorme fascino di questa distesa immensa di verde mi ha fatto interrompere la visione del film sullo schermo del sedile e rimanere per il resto del viaggio ad ammirare questo enorme polmone verde, stupefatto ma con un un po’ di amarezza è di tristezza per il fatto che fra le due pubblicità avrei preferito che fosse stata vera quella del deodorante che faceva cadere le ragazze ai tuoi piedi! 

Quindi questo è il primo motivo per quale un viaggiatore parla di sostenibilità: perché ha la fortuna di “esperenziare” (passatemi il termine che traduco da una parola che in inglese è anche verbo in italiano purtroppo no).

Il secondo motivo che autorizza un viaggiatore a dire la sua in merito di sostenibilità è che il turismo è un elemento fondamentale.

  • non solo perchè favorisce scambi culturali ed apre la mente;
  • non solo perchè coinvolge tutti gli altri settori come trasporti, immobili per la ricettività, eccetera;
  • ma soprattutto perché è un pilastro internazionale anche dal mero punto di vista economico.

 

Non vi voglio tediare con i numeri, ma si parla comunque del dieci per cento circa dell’economia mondiale, mercato che è sempre in crescita strepitosa spesso superando anche le più rosee aspettative. Il turismo condiziona risorse locali, inquinamento, produzione di rifiuti, antropizzazione, biodiversità, preservazione e protezione delle specie e di conseguenza i cambiamenti climatici e così via. Rendetevi conto quanto è vasto è pieno di sfaccettature questo argomento. Insomma attorno ci gravitano parecchi soldi, molti interessi e se volete aggiungiamoci un po’ di etica, un po’ di filosofia, della politica e chi più ce ne ha più ce ne metta. Insomma, non so se si può dire …ma è un vero e proprio casino!

Ecoturismo o Turismo sostenibile?

Quindi, in ambito di sostenibilità ambientale è fondamentale considerare l’ecoturismo (o turismo sostenibile) se non, addirittura, come ho scritto nel titolo di questo articolo con un pizzico di provocazione, al turismo che addirittura sostiene l’ambiente migliorandolo con il flusso economico che indubbiamente genera, e che qualcuno sostiene possa essere utilizzato proprio per sostenere l’ambiente. In altre parole, può azzerare l’impatto (semmai questo fosse possibile) o addirittura renderlo positivo? Sarebbe un po’ come se i turisti invece di gettare la spazzatura la raccogliessero.      Per parlare in maniera completa di turismo ecosostenibile ci vorrebbe innanzitutto qualcuno più bravo di me, e un articolo di trentamila pagine o più…                                                                          

Quindi ho deciso di scegliere tra i vari settori del turismo sostenibile quello che interessa il coinvolgimento (che poi vedremo è diventato, secondo me tristemente, una sorta di gestione) della fauna. Non perché mi piace prendermi gli aspetti un po’ più complicati ma perché è il settore a cui sono più emotivamente legato.

Problemi di coinvolgimento degli animali nel turismo wild (verso natura e animali)

Siccome quest’argomento è appunto molto complicato ho pensato di elencare i tre “problemi” che si creano in questo ambito per poi sottoporvi degli esempi su cui riflettere:

1 SOLDI: inutile nascondersi dietro un dito il primo problema sono i soldi! Con il “problema dei soldi” intendo semplificare il discorso degli interessi spesso economici, o comunque di potere, che incidono sul meccanismo del turismo cosiddetto wild.

2 CULTURA: c’è un problema culturale e di costume perché la considerazione che si ha di alcuni animali, piuttosto che di altri (purtroppo devo dire uomo compreso) è straordinariamente diversa a seconda degli Stati in cui si trova.

3GESTIONE”: il terzo è l’aspetto più complicato. Visto che la natura è un sistema caotico (si veda il principio del “Butterfly Effect“),  chi è in grado di sostituirsi a Dio (per chi ci crede) o comunque a Madre Natura? Chi è in grado di stabilire quali saranno a lungo termine le conseguenze delle proprie decisioni?  Chi è in grado di interferire o addirittura gestire un sistema così complicato che ha trovato equilibrio in milioni di anni attraverso infinite sperimentazioni che hanno trasformato una specie di ratto gigante in delfino e una sotto specie di scimmia in Belen (bhè, almeno esteticamente…).

Quindi abbiamo, per semplificare: 1 soldi, 2 cultura e 3 biologia-ambientalismo-politica-etica-morale-religione… il 4 punto da considerare è poi un bel pizzico abbondante di fattore C… che, per chi non conosce il gergo strettamente tecnico sarebbe la Fortuna.

Come vi accennavo pocanzi, voglio condividere con voi alcuni casi reali.

Tiger Temple – Kanchanaburi – Tailandia.

Partiamo da un esempio semplice che ho vissuto di persona: il Tiger Temple (tempio delle tigri in Thailandia).

In breve. In questo tempio i monaci Buddhisti hanno cominciato ad accogliere le tigri perché queste non venissero decimate dalle popolazioni locali, causa dovuta a episodi di attacco al bestiame e molto raramente anche alle persone. Nel Buddhismo, infatti, uccidere è considerata un’azione negativa anche nei confronti degli “animali non umani” (quindi se volete diventare buddisti strettamente praticanti ricordatevi che non potete uccidere neanche le zanzare).

Sono stato in questo tempio quando aprì perché avevo visto un servizio in un documentario negli U.S.A., e dopo estenuanti ricerche (internet all’epoca era agli albori) ero riuscito a sapere dove si trovava. Il turismo non era così esteso a Bangkok quanto lo è oggi, per cui figuratevi a Kanchanaburi.

Tiger Temple, foto evocativa del tempio ieri e oggi.

Il tempio sembrava veramente una sorta di centro di “recupero”. La mattina si portava un’offerta e del cibo ai Monaci che vivevano solo di quello e si faceva colazione con loro. Dopodiché si andavano a prendere le tigri, che comunque dormivano in gabbia, e le si liberava in un’area con uno stagno. Mi ricordo che gli lanciavamo dei palloni per giocare che duravano ovviamente pochi secondi perché le tigri li bucavano immediatamente. Poi si dava il latte con il biberon ai cuccioli e si insegnava loro a nuotare. E così via. Spesso si usavano i guinzagli (in due persone a volte non riuscivamo a tenerle) e che il monaco le conduceva senza. Però le tigri a giudicare da come tiravano, come giocavano, dai palloni bucati e dai graffi e morsetti ricevuti non mi sembravano proprio drogate o maltrattate, e tutto sommato, alla fine, anche ai cani mettiamo il guinzaglio, no?!?

Tornandoci poi negli anni successivi ho toccato con mano la tristissima e rapida trasformazione del Tempio delle Tigri, quando si sono resi conto del grande business. E da una situazione quantomeno opinabile in cui le tigri diventavano animali domestici però venivano salvati dalle popolazioni locali, si è giunti rapidamente ad un luogo di sfruttamento in cui chiunque poteva pagare venti dollari per dare latte ai cuccioli, venti dollari per prendere in braccio un tigrotto, e venti dollari per farsi una foto con la mano sulla testa della tigre incatenata e, purtroppo, com’è stato poi accertato nel tempo, drogata. 

E questo è un esempio tutto sommato facile da giudicare.

Kayak con le orche – Johnsone Strait – Canada.

Passiamo a qualcosa di un po’ più opinabile. Johnstone Strait è uno stretto corridoio d’acqua tra l’isola di Vancouver e il Canada continentale, con un passaggio eccezionale di mammiferi marini ed in particolare orche, che amano andare lì a “grattarsi” la pancia sui sassolini, in una piccola baia, ora “Robson Bight (Michael Bigg) Ecological Reserve “. Per proteggerle e si è deciso che all’interno di questa baia non si possa entrare neanche con il kayak o a nuoto. Nell’area non ci sono strutture alberghiere, solo pochi campeggi autorizzati (molto costosi). Il posto è splendido e visitatissimo perché s’incontrano le orche più volte al giorno.

Johnsone Strait – Canada.

Decisamente turismo ecosostenibile a questo punto… o no?

La discutibilità nasce se si considera che il parco si è potuto istituire solo con la collaborazione dei pescatori locali che quindi sono autorizzati ad entrare anche all’interno dell’area protetta della baia con le loro barche a nafta, pescare, ed ogni tanto trovarsi una bella orca incastrata nelle reti.

I big Five (I “Grandi Cinque”) e i safari.

Non sempre il “male” fa male. C’è un “male” che non fa male, non è nulla di male, e alla fine… non è male. Perché se hai questo male hai avuto la fortuna di essere stato in Africa. Sto parlando del “mal d’Africa”. E’ legato all’atmosfera, alla gente, al fatto che proveniamo da lì. Ma è innegabile che la vera magia del Continente Nero è la natura. E quando si parla di natura gli animali ricoprono il ruolo più importante.

Parlo in particolare dei “big five”. Ovvero i “grandi cinque”.

Leoni all’interno delle riserve del Sud d’Africa.

Con questo non ci si riferisce alla dimensione. Sarebbe troppo facile!

Sono chiamati i big five perché sono da sempre ritenuti più pericolosi e difficili da catturare, appunto: 

  • Elefante;
  • Leone;
  • Leopardo;
  • Rinoceronte;
  • Bufalo.

 

Oggigiorno, per fortuna, nella maggior parte del continente nero la macchina fotografica ha preso il posto del fucile, e i cinque possono solo essere avvistati.

Quindi sembra fin troppo chiaro che il turismo possa, in questo caso, essere considerato non solo sostenibile ma anche sostenitore.

Anche se nel mio ultimo safari in Kenya mi è successo che un leopardo si nascondesse sotto la mia jeep per cacciare un dick-dick. E questo non è proprio naturalissimo. Così come il fatto che quando abbiamo avvistato una coppia di leoni diciamo cosi …in intimità, da lì a poco si è creato un movimento di fuoristrada e turisti che urlavano come pazzi, il che non è certo la migliore atmosfera sensuale che il re della savana avrebbe desiderato per la sua prima notte di nozze. 

Tuttavia è innegabile che questo è molto meno peggio di una bella schioppettata sul sedere che la coppia si sarebbe presa qualche decennio fa oppure in quelle (poche) riserve in Sud Africa, Zimbabwe or Namibia dove si caccia ancora oggi (pagando laute cifre…)!

4 Taglio del corno del Rinoceronte.

Già però è più complesso giudicare questo: di recente sono stato in Sudafrica dove in una riserva tagliano i corni dei rinoceronti per evitare che i bracconieri gli uccidano per impossessarsene. È corretto far pagare un biglietto di ingresso ed utilizzare questi fondi per rinchiudere i rinoceronti in una riserva, che sebbene mooolto grande ha pur sempre un recinto, e poi tagliarle loro il bel corno grosso che volevano mostrare alla fidanzata rinocerontessa perché purtroppo, viceversa, dei bracconieri potrebbero ucciderli per vendere la polvere di quel corno a chi crede che ciò possa far spuntare anche a lui un bel corno grosso da qualche parte?

Taglio del corno ai rinoceronti.

Possiamo lasciare che la Natura faccia il suo corso?

Allora la risposta potrebbe essere: lasciamo tutto com’è! Permettiamo magari solo ai biologi di attaccare le loro go-pro sul sedere degli squali per vedere con chi vanno a cena? Sarebbe impossibile, anche volendo, lasciare un’area davvero protetta al 100%.  Per esempio: mari e oceani sono tutti quanti comunicanti e anche creando una riserva protetta non si può fare in modo che l’inquinamento non ci vada a finire. Noi contribuiamo al riscaldamento globale creando la Tropicalizzazione del Mediterraneo e apriamo anche il canale di Suez in modo da dare una scorciatoia a pesci, microganismi e piante acquatiche che sono sempre stati nei mari tropicali che vengono a fare le vacanze in Europa compromettendo tutto l’ecosistema vecchio di milioni di anni.

La nostra terra è comunque tutto un piccolo-grande, unico sistema, con noi – e i poveri animali – dentro.

E forse non sarebbe neanche tanto giusto creare delle campane di vetro visto che, anche se ogni tanto lo dimentichiamo, anche noi facciamo parte integrante della Natura e quindi la soluzione migliore, stando a quello che ha fatto nel tempo, sarebbe la convivenza.

Quindi, per concludere, abbiamo due estremi:

  • da una parte è facile comprendere che non è giusto incatenare e drogare le tigri per permettere ai turisti di farcisi le foto;
  • dall’altra parte è evidente che non possiamo ormai più permetterci il lusso di lasciare che la natura svolga il suo corso e continui ad evolversi come ha fatto per milioni di anni.

Come, perché e soprattutto chi deve decidere dove posizionarsi nel mezzo?

I biologi perché conoscono meglio di chiunque altro la fauna, oppure i politici perché sono stati eletti dal popolo (anche se non dagli animali) per rappresentarli quindi fanno delle scelte “democratiche “? Le popolazioni locali perché tutto sommato in quella zona ci vivono da sempre non sarebbe giusto buttare nel cesso le loro tradizioni fosse anche il Grindadrap, la mattanza delle balene (che poi non sono proprio balene…), e che tra l’altro non è né sudafricana né thailandese o giapponese ma nordeuropea?

Chi si vuole mettere a gestire il “butterfly effect” che ne deriva?

Una specie è in pericolo (il più delle volte per colpa nostra) la proteggiamo e la re-introduciamo in natura. Tutto questo ovviamente condiziona l’ambiente circostante e tutte le altre specie.  Creiamo percorsi turistici per poter avvistare questo animale che però va solo guardato e non toccato. Iniziamo a produrre in Cina le calamite con la faccina dell’animale e a venderle per usare PARTE del ricavato per proteggere l’animale stesso.  Qualcuno poi lo mettiamo in un bel parco in modo che si possa vedere da vicino, pagando, tanto una PARTE serve per proteggerlo. Ok, sta in galera senza aver commesso nessun reato (un po’ in controtendenza quello che succede a noi animali-uomo) però è un “ambasciatore” come i ghepardi in Sudafrica (anche se non l’ha scelto) serve a far capire alle popolazioni locali che non è pericoloso …e così via. Poi a volte l’animale diventa troppo presente e inizia a dare fastidio, allora viene controllata la riproduzione o ridotta la presenza… e ricominciamo il giro.

Dubbi (o sogni) di un modesto viaggiatore

Ora, io sono soltanto un viaggiatore che vuole vedere il mondo (magari un po’ più la parte wild) e incontrare i suoi “cugini” animali. Non ho il titolo per poter parlare di queste cose …ma mi da l’idea che qua si sta giocando a sostituirsi a Madre Natura in maniera un po’ strana.

Allora: o stiamo facendo “metti la cera – togli la cera” perché poi il fine ultimo un altro più nascosto, oppure qui c’è una specie di parrucchiere che taglia capelli da una parte e siccome non gli vengono pari taglia anche dall’altra, poi continua a tagliarli perchè non sembrano mai perfettamente allineati … fino a che si renderà conto che non ce ne sono più e a quel punto rischia di tagliare la testa. Non so se mi sono spiegato.

Dopo tutte queste parole, come si diceva una volta, la domanda nasce spontanea:

qual è la soluzione ?

La risposta è un bel grosso punto interrogativo. Pensavate che vi avrei lasciato con una soluzione ma io non ce l’ho… almeno non ancora! Aiutatemi voi. Io vi lascio con una domanda, e anche bella lunga:

Qual’è il modo migliore e sostenibile per gestire o meglio convivere con la fauna sfruttando la potenzialità del turismo per preservare l’ambiente ma anche per goderne pienamente perché è un nostro diritto? Qual è il modo per permettermi di poter guardare l’orca che si gratta la pancia sulla spiaggia (che è un settemiliardesimo anche mia) magari contribuendo per la tutela della spiaggia stessa e dell’orca, senza inquinare e senza disturbare?  E tutto questo in pieno rispetto degli animali perché anche loro possiedono una vera e propria consapevolezza, una coscienza come la nostra (come ufficialmente riconosciuto dagli illustri neuroscienziati di Cambridge nel 2012).

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